La turbolenza atmosferica

ritratto di g.milani

a cura di Giannantonio Milani

 

Scintilla, scintilla, piccola stella….

Twinkle, twinkle, little star,
 how I wonder what you are.
 Up above the world so high,
 like a diamond in the sky.
When the blazing sun is gone,
 when he nothing shines upon,
 then you show your little light,
 twinkle, twinkle, all the night.
……
(traduzione)
Scintilla, scintilla, piccola stella,
Come vorrei sapere cosa tu sei.
Lassù così in alto,
come un diamante nel cielo.

Quando il sole infuocato se n’è andato,
quando non risplende più su nulla,
allora tu mostri la tua piccola luce,
scintilla, scintilla, tutta la notte.
……

Con questi versi inizia la celebre poesia “The Star” (La Stella) composta da  Jane Taylor  nel 1806 e tratta da The Nursery Rhymes.  Una semplice e bella poesia che si ispira allo scintillio delle stelle, un fenomeno che contribuisce a rendere più poetica e misteriosa la contemplazione del cielo stellato in una notte limpida. Per chi ne ha memoria i primi versi  introducevano il bel programma televisivo RAI sull’astronomia, “In viaggio tra le stelle”, condotto da Mino Damato nel 1973.
Lo scintillio è una caratteristica che rende più affascinante la volta celeste alla visione ad occhio nudo, ma è ben poco gradito dagli astrofili più esperti che si accingono ad effettuare osservazioni al telescopio.  Contrariamente a quanto immaginano gli osservatori occasionali del cielo, non si tratta di un fenomeno fisico legato alle stelle, ma piuttosto di un effetto dovuto all’atmosfera che ci circonda. Atmosfera che per noi è vitale ma che ci ostacola nell’osservazione dello spazio esterno.
In generale si è propensi a prestare molta attenzione alle caratteristiche e bontà ottica quando ci apprestiamo ad acquistare un telescopio, creandoci delle giuste aspettative su ciò che potremo osservare: ad esempio sui crateri più piccoli che potremo distinguere sulla superficie lunare o sui dettagli che potremo cogliere sui pianeti. Tuttavia, per quanto perfetto sia il nostro telescopio, nelle osservazioni sul campo ci scontreremo con i disturbi introdotti dalla nostra atmosfera, spesso decine di volte peggiori dei difetti di lavorazione di un qualsiasi telescopio di media qualità.  Il temolio o ribollimento dell’immagine, più o meno marcato, che notiamo già nelle nostre prime osservazioni della Luna ad elevati ingrandimenti, è dovuto proprio al degrado introdotto dall’agitazione dell’aria.  Non potendo trasferirci con il nostro telescopio al di fuori dell’atmosfera o sulla Luna, dovremo imparare a convivere con questi effetti e a cercare di porci nelle condizioni migliori per limitarli.
L’aria che ci circonda è una delle componenti che contribuisce a generare i cosiddetti “effetti strumentali”, ovvero tutte quelle alterazioni che modificano la qualità della nostra osservazione dei corpi celesti correlate alla situazione nella quale operiamo. Tratteremo qui solo della turbolenza, ma vi sono molti altri effetti dei quali è necessario tenere conto, come rifrazione ed estinzione, soprattutto per osservazioni di tipo scientifico.  
Di fatto la nostra atmosfera è parte integrante del nostro strumento. L’aria, come tutti i mezzi che possono essere attraversati dalla luce, ha un proprio indice di rifrazione, devia cioè il cammino dei raggi luminosi. L’entità della deviazione dipende dalla massa d’aria, dall’angolo di incidenza, dalla lunghezza d’onda (colore) della luce, ma anche dalla pressione e temperatura dell’aria stessa. Masse d’aria in movimento a differente temperatura, che hanno quindi diverso indice di rifrazione, provocano continue modificazioni al percorso dei raggi luminosi, causando lo scintillio delle stelle che percepiamo ad occhio nudo in molte notti.
Se potessimo osservare le stelle al di fuori dell’atmosfera potremmo constatare che di fatto esse non scintillano affatto. Ma anche nelle nostre osservazioni notturne possiamo notare che non sempre le stelle scintillano allo stesso modo (a volte non lo fanno per niente), e che lo scintillio stesso varia di sera in sera, o anche con il passare delle ore, oltre che in funzione dell’altezza sull’orizzonte.
In generale se le stelle scintillano visibilmente è sintomo di atmosfera molto turbolenta e di una situazione non ottimale per l’osservazione. Se invece la loro luce è ferma in generale è indice di aria calma e di un’ottima serata per le osservazioni.  Inglesi e americani hanno coniato il termine “seeing” per indicare la qualità delle immagini al telescopio in relazione all’agitazione dell’atmosfera ed è divenuto di uso abbastanza comune. In lingua italiana si usa definire turbolenza e trasparenza del cielo. Per valutare la turbolenza si adotta una scala empirica stimando la nitidezza delle immagini ad elevati ingrandimenti sia stellari che planetarie.  Ad esempio la scala adottata da Pickering definisce il gado 10 come ottimale, con immagini perfettamente ferme e nitide, il grado zero quando l’immagine è pessima. Antoniadi invece definisce la condizione ottimale con il grado zero e il peggiore con il grado 5. Altre scale analoghe definite da altri autori/osservatori sono state usate comunemente dagli astrofili.  Ad esempio la scala in figura 1 è inversa rispetto a quella di Antoniadi e mostra l’immagine di una stella osservata ad elevati ingrandimenti con un tipico telescopio di piccole dimensioni ( 20 cm) (tratto da Jean Texereau, La construction du tèlescope d’amateur, II ed.)
Come si può capire si tratta di scale qualitative, dove ha un peso sia la valutazione personale sia lo strumento utilizzato. In ambito professionale il “seeing” viene studiato con metodi quantitativi molto più elaborati e precisi, ad esempio misurando di quanto e in che modo vengono deformate le immagini e con quale velocità (frequenza di oscillazione). La trasparenza viene invece misurata come estinzione atmosferica in magnitudini e in funzione dell’elevazione al di sopra dell’orizzonte (o della distanza zenitale).

Figura 1. Diverso grado di turbolenza
Figura 1. Diverso grado di turbolenza valutato osservando l’aspetto di una stella ad elevati ingrandimenti con un piccolo telescopio ( J. Texereau).

Abbiamo già accennato al fatto che il problema della turbolenza è causato dalla diversa temperatura dell’aria e dalla sua agitazione. Nell’atmosfera la normale circolazione su larga scala induce correnti a diverse quote, con zone di inversione termica. Ovvero mediamente la temperatura diminuisce con l’altezza sul livello del mare, ma questo non avviene in modo lineare e vi sono zone nelle quali per un certo tratto si possono avere inversioni di temperatura. Sono ad esempio gli strati dove il vapore d’acqua si condensa formando nuvole, o dove si formano strati di nebbia. Ma strati di inversione si hanno anche con cielo sereno.
In generale, in presenza di condizioni meteorologiche perturbate o instabili, avremo sempre una turbolenza più o meno marcata a diverse altezze, ed un conseguente deterioramento delle immagini. Il vento, pur non essendo responsabile in prima persona della turbolenza (ricordiamo che sono le differenze di temperatura a provocarla!) contribuisce alla formazione di regioni instabili, anche per l’interazione con gli ostacoli che incontra a bassa quota, siano essi edifici, colline o montagne.
La situazione ideale si ha sempre in concomitanza di periodi di alta pressione che portano cielo sereno e assenza di vento, ma anche foschie o nebbie, queste ultime più frequenti nelle stagioni fredde.

Il principale motivo che porta a realizzare gli Osservatori astronomici in siti isolati ad alta quota è proprio dettato dal fatto di portarsi al di sopra dei primi strati più turbolenti dell’atmosfera e di poter avere una trasparenza dell’aria migliore possibile per poter raccogliere anche la luce degli oggetti più deboli. A 5000 metri di quota circa metà dell’atmosfera è già sotto di noi e ad esempio gli osservatori realizzati sui vulcani inattivi delle isole Hawaii, ad oltre 4000 m sul livello del mare, godono di condizioni privilegiate. Alle Canarie, e sui deserti altipiani del Chile, la quota è minore, ma ugualmente godono di situazioni locali particolarmente favorevoli, con ottima trasparenza, clima molto secco e grande stabilità dell’aria.  Un altro Osservatorio celebre per le osservazioni ad alta risoluzione dei pianeti e del Sole è il Pic Du Midì sui Pirenei. Le dimensioni medie apparenti di una stella nelle immagini riprese da questi siti è spesso inferiore ad 1 secondo d’arco,  raggiungendo anche 0,5 secondi d’arco o meno nelle nottate migliori.  In media il seeing da siti mediocri o urbani è intorno a 3 secondi d’arco, o anche più.

Dovremo quindi rassegnarci a dover salire su alte montagne per portarci sopra gli strati più turbolenti di atmosfera e trovare un cielo che ci permetta di sfruttare a fondo il nostro strumento?  Non necessariamente. Sorprendentemente potremo avere condizioni particolarmente buone in siti inattesi, anche dietro l’angolo, come pure condizioni pessime ad alta quota. Perché ?
Perché abbiamo in realtà analizzato solo una parte del problema. Se è vero che su larga scala, a varie quote, l’atmosfera degrada più o meno le immagini, è anche vero che le caratteristiche del microclima e turbolenza locali possono avere un peso per nulla trascurabile.
Gli Osservatori citati prima (Hawaii, Canarie, Chile…) sono stati costruiti dopo aver condotto ricerche estremamente accurate in loco. Anche il punto esatto ove piazzare lo strumento è spesso scelto con molta cura perché anche in un buon sito di alta quota non tutti i punti sono uguali. Anche qui la turbolenza locale può variare da zona a zona. Oggi viene prestata molta attenzione anche alla costruzione degli edifici e delle cupole, che in molti osservatori di vecchia concezione sono risultati essere la causa principale della turbolenza locale e di una cattiva resa dello strumento.
In generale, in buone condizioni,  il rimescolamento dell’atmosfera alle alte quote forma delle celle di aria che possiamo definire sufficientemente uniformi per temperatura e pressione e che hanno una dimensione inferiore al mezzo metro. Questo significa che con telescopi di diametro minore rispetto alla dimensione di queste celle potremo avere un visione generalmente nitida, pur notando un continuo spostamento (oscillazione) dell’immagine di una stella o di un pianeta. Osservando la Luna potremo vedere una deformazione su larga scala, ma non una effettiva perdita sui piccoli dettagli.
Per questo motivo telescopi di piccola apertura (fino a 8-10 cm di diametro) risentono molto meno della turbolenza atmosferica rispetto ad aperture maggiori. Il guadagno sui dettagli osservabili è marcato fino a 20-30 cm di apertura, ma oltre non è scontato avere sempre un incremento. Anzi non di rado una apertura molto maggiore appare deludente sotto questo punto di vista .
Quel che accade è che avremo una visione nitida finché il diametro del nostro telescopio è inferiore alla dimensione media delle celle di turbolenza atmosferica. Oltre avremo un affetto di “intorbidimento” delle immagini, una sorta di sfuocatura.  In generale possiamo dire che un piccolo telescopio (ad es. 5-6 cm di diametro) sarà in grado quasi sempre di rendere con prestazioni prossime al suo limite massimo. Un 8-10 cm ancora regge molto bene, ma inizierà a risentire di un peggioramento nelle serate meno buone. Un 15-20 cm potrà essere sfruttato al massimo ancora per un buon numero di serate, ma un 30-40 cm inizierà ad avere spesso parecchie difficoltà ad essere ben utilizzato. Soprattutto se ci troviamo in un sito dove la turbolenza locale ha un peso rilevante. Normalmente la turbolenza peggiore si origina entro poche centinaia di metri dall’osservatore e prestando attenzione alla scelta del nostro sito potremo notare differenze enormi.

Figura 2. Schema delle deformazioni
Figura 2. Schema delle deformazioni subite da un fronte d’onda mentre attraversa l’atmosfera. Un telescopio di piccola apertura risente della turbolenza su piccola scala e vedremo l’immagine di una stella in rapida “oscillazione”. Un grande telescopio abbraccia anche deviazioni su larga scala e forma immagini stellari caotiche (multiple). (figura adattata da www.telescope-optics.net).

Le  città ad esempio hanno il problema di essere delle “isole di calore”, ovvero zone caratterizzate da un microclima con una temperatura di qualche grado più elevata della zone circostanti.
L’eccesso di calore deriva da molti fattori: il riscaldamento delle case, aziende e uffici in inverno. Asfalto, cemento, muratura… accumulano il calore solare e lo rilasciano di notte. come pure gli impianti di condizionamento in estate producono ulteriore calore.  Inoltre il traffico e l’utilizzo di qualunque motore o macchinario elettrico/elettronico/meccanico, come pure la semplice presenza umana, produce calore.
L’effetto di un’isola di calore è di generare una larga colonna d’aria ascendente richiamando contemporaneamente aria più fresca dalla periferia, formando così una vasta zona di turbolenza. Le cose peggiorano in caso di vento perché questo viene frenato al livello del suolo riacquistando la sua massima velocità solo a quote di almeno 500 metri (in caso di suolo privo di ostacoli la quota è comunque intorno a 200-300 metri). Ma le masse d’aria in rimescolamento sui centri urbani hanno una differenza di temperatura maggiore rispetto alle zone rurali. Localmente poi la complessità del terreno legata alla presenza degli edifici peggiora ulteriormente le cose. Ciò non toglie che occasionalmente si possano avere buone serate anche in città.
Un sito sul pendio di una collina o di una montagna non è sempre ideale in quanto l’aria più calda che risale della valle, o dalla pianura sottostante, tende a formare correnti convettive ascendenti  lungo il pendio creando turbolenza.
In un sito di campagna l’essere circondati da vegetazione è un fatto molto positivo in quanto piante ed erba con foglie verdi riflettono la radiazione infrarossa solare ed evitano un eccessivo riscaldamento del suolo durante il giorno. Ne consegue che dopo il tramonto la temperatura dell’aria tenderà a stabilizzarsi e uniformarsi più rapidamente. Anche in città avere un giardino con un po’ di verde può aiutare un po’ in questo senso. Ottime riprese di pianeti sono state effettuate anche da siti di pianura in periodi dominati da alta pressione.
Distese di acqua (laghi, lagune, mare aperto) possono avere l’effetto di aiutare a termostatare e uniformare la temperatura dell’aria. La neve invece crea instabilità al livello del suolo e peggiora di molto il seeing locale.
Paradossalmente la nebbia, se non troppo fitta, può garantire un buon seeing, sia perché se c’è nebbia abbiamo in generale una situazione di alta pressione, e quindi atmosfera calma negli alti strati, sia perché anch’essa ha un effetto di uniformare la temperatura nello strato vicino a noi. Per contro l’umidità tenderà ad appannare rapidamente le ottiche oltre e penetrare nei nostri indumenti rendendo davvero poco confortevoli le osservazioni!
La cima di una montagna è teoricamente il sito ideale, ma il buon seeing non è automaticamente garantito perché dipende molto dall’orografia circostante e dalla turbolenza locale che potrebbe regalarci bruttissime sorprese. Una cima isolata e circondata da territorio omogeneo dovrebbe essere la più indicata.  Ma le prove sul campo sono le uniche che ci potranno dare una indicazione certa.

Per ultima è da considerare anche la turbolenza che si genera all’interno del telescopio, che può essere ben peggiore di quella intorno a noi. Se teniamo il telescopio in casa è bene portarlo all’esterno molto prima di utilizzarlo per consentire alle sue parti di entrare in equilibrio con la temperatura esterna. In caso contrario si produrranno turbolenze interne davvero disastrose. Il tempo necessario a raggiungere l’equilibrio termico dipende dalle dimensioni e dal tipo di telescopio. Per un piccolo newtoniano (telescopio a specchio a tubo aperto) può essere sufficiente mezz’ora, per uno Schmidt-Cassegrain o Maksutov (a tubo chiuso) potrebbe occorrere molto di più (2-3 ore o più se di grande diametro).  In molti strumenti vengono a volte montate delle piccole ventole per fare circolare l’aria all’interno e velocizzare il processo. Piccoli rifrattori non hanno invece alcun problema di acclimatamento.
In generale spessi tubi metallici impiegano moltissimo a raggiungere un equilibrio termico (e a volte non lo raggiungono mai!), da preferire lamiera sottile (max 1 mm) o tubi in plastica o legno (generalmente costruiti a seziona quadra). Plastica e legno, essendo materiali isolanti, hanno molti meno problemi rispetto ai tubi metallici ed anzi isolano efficacemente le ottiche da piccole variazioni esterne locali. Il metallo, essendo conduttore, può creare problemi, soprattutto nei telescopi più grandi se non ben progettati.
Anche gli specchi, se di grandi dimensioni, richiedono un certo tempo per acclimatarsi generando, oltre a tensioni temporanee nel vetro, anche fastidiose correnti convettive vicine alla loro superficie.
Anche la struttura di un Osservatorio, come già detto, può essere fonte di problemi. La classica cupola, utilizzata da sempre, è in realtà una pessima soluzione per quanto riguarda la turbolenza locale interna e il raggiungimento di un equilibrio con l’esterno. Se costruita sopra un edificio riscaldato l’effetto sarà ancor più accentuato.
Per uno strumento di piccole o medie dimensioni, potendo scegliere, è preferibile una struttura a tetto apribile che garantisce una migliore circolazione dell’aria ed è tra l’altro molto più economica.
Le cupole dei grandi osservatori professionali sono oggi realizzate con un sistema di pareti apribili e regolabili in modo automatico per garantire una temperatura interna sempre in equilibrio con quella esterna, e di giorno la temperatura viene controllata da un sistema di condizionamento programmato sulla temperatura media prevista per la notte. In questo modo, appena termina il crepuscolo, anche un grande telescopio è subito pronto per essere operativo al 100% senza dover attendere ore, se non tutta la notte, per raggiungere un possibile equilibrio termico.

Infine una considerazione anche sulla qualità dello strumento. La lavorazione delle superfici ottiche, e la loro collimazione, ha un peso non marginale sulla sensibilità alla turbolenza. Con un cielo “perfetto”, senza turbolenza, tutti gli strumenti rendono al loro massimo, e potremo notare ben poca  differenza nella resa di telescopi di diversa qualità. Ma in presenza di condizioni non ottimali i telescopi di minore qualità ottica mostreranno un deterioramento sensibilmente maggiore nelle immagini.  Ugualmente telescopi, anche di buona qualità, ma con un forte ostruzione dovuta allo specchio secondario, risulteranno maggiormente penalizzati rispetto ad altri poco ostruiti.
Una ostruzione massima di 1/6 del diametro dello specchio principale in generale è la massima consigliata per avere una buona resa.

Per concludere tracciamo un piccolo vademecum (indicativo) su come decidere se portare fuori il telescopio oppure no:
in una improvvisa schiarita dopo un forte temporale potremo avere un’ottima trasparenza del cielo che invita all’osservazione, ma un’aria molto agitata con forte turbolenza e stelle che scintillano molto. Potremo osservare oggetti deboli a bassi ingrandimenti ma ben poco potrà essere fatto sui pianeti.
Lo stesso avviene in giornate molto ventose, ad esempio nelle nostre zone quando soffia vento di Bora, il cielo è molto limpido ma la turbolenza altissima e lo scintillio molto forte.
Se anche i pianeti osservati ad occhio nudo scintillano, caso fortunatamente raro, significa che la turbolenza è a livelli altissimi. Inutile in questo caso portare fuori il telescopio!
Importante è valutare anche lo scintillio a diverse  altezze sull’orizzonte. Se le stelle scintillano molto all’orizzonte ma poco o nulla allo Zenit significa che la turbolenza è principalmente locale, e probabilmente le condizioni miglioreranno con il passare delle ore.  Anche la velocità dello scintillio può essere indicativa, se rapido indica forti correnti in quota, se lento è probabilmente più un disturbo locale che potrebbe attenuarsi nella notte.
Se le stelle scintillano poco o nulla all’orizzonte e sono ferme allo Zenit ci aspetta un’ottima serata.
Nuvole sottili e velature che si muovono lentamente non sempre sono sinonimo di forte turbolenza. Soprattutto se l’aria al suolo è calma. Si possono a avere talvolta condizioni discretamente buone anche con lievi velature. Se però sono cirri che annunciano l’arrivo di una perturbazione la situazione sicuramente non è favorevole.
Se osserviamo da un poggiolo o terrazzo fare attenzione a chiudere bene porte e finestre senza lasciare spifferi che possono creare micidiali correnti d’aria locali.
Analogamente troppe persone intorno ad un telescopio possono generare calore e turbolenza. Anche lo stesso osservatore può creare disturbo se la brezza porta il suo calore e il suo respiro verso l’imboccatura del tubo.